Le cure palliative ed il trattamento psicologico del paziente terminale

 

Le cure palliative ed il trattamento psicologico del paziente terminale. Intervista alla Dr.ssa Margherita Salerno, dirigente responsabile dell’Hospice Sant’Antonio da Padova e la psicoterapeuta Dr.ssa Luigina Chiuchiolo.

D. Dr.ssa Salerno quali sono i pazienti che hanno accesso alle cure palliative?

R. Si tratta soprattutto di malati oncologici, seguiti precedentemente da altre strutture, che non possono più fare terapie che abbiano come obiettivo la guarigione e quindi vengono inviati in strutture dedicate, come appunto gli hospice, dove si fanno le cure palliative. Non essere guaribili infatti, non significa non essere curabili, perché fino all’ultimo giorno c’è tantissimo da fare. E’ ovvio che cambia l’obiettivo di cura. Noi non incidiamo più sull’andamento della malattia, ma dobbiamo lavorare affinchè la qualità di vita dei nostri pazienti sia la migliore possibile. E già liberarli completamente dal dolore significa farli stare meglio.

D. Come inizia il percorso del paziente all’interno dell’hospice?

R. I pazienti quando giungono in struttura vengono accolti dal medico, dall’infermiere e dalle varie figure che compongono l’equipe. Quindi viene redatto un piano di assistenza, dopo aver individuato le criticità che affliggono il paziente, non solo cliniche, ma anche di natura familiare, sociale, psicologica. La famiglia è sempre coinvolta e diventa parte dell’equipe, perché grazie a loro e con loro si possono raggiungere determinati obiettivi.

D. L’assistenza domiciliare è preferibile a quella residenziale?

R. Secondo noi la casa è l’ambiente ideale per fare le cure a questa tipologia di paziente. E’ chiaro però che vanno fatte delle valutazioni a più livelli, per poter soddisfare la volontà del malato, perché è lui per primo a scegliere. Ad esempio bisogna capire se attorno a lui vi sia una rete di familiari che possano collaborare. Fatto importante è che comunque l’assistenza, sia residenziale che domiciliare, non è rigida, ma flessibile. Questo significa che in caso di insorgenza di problematiche, il paziente seguito a domicilio può entrare in struttura, oppure può avvenire il contrario.

Dr.ssa Chiuchiolo, l’aspetto psicologico è essenziale per questo tipo di paziente, ma in che modo viene affrontato?

R. Poiché il paziente arriva già da esperienze precedenti, il primo punto da valutare è se sia stato adeguatamente informato sullo stato della sua malattia e ne abbia la giusta consapevolezza. Bisogna comprendere tutti quelli che sono i suoi bisogni sia di tipo cognitivo che emotivo, aspetto fondamentale perché il paziente possa ricevere la giusta assistenza. Un paziente che abbia delle aspettative troppo alte o che vive in uno stato di incertezza potrebbe non dare il giusto senso alle cure e quindi non accettarle. Una volta che al paziente viene evidenziata la necessità di lavorare sulla sfera emotiva e psicologica, è lui stesso a farne richiesta, come terapia coadiuvante a tutte le altre. Esistono poi diversi percorsi di psicoterapia. Ad esempio in soggetti ansiosi che non riescono a contenere il proprio mondo interiore o a verbalizzare, io spesso utilizzo tecniche di rilassamento, piuttosto che di visualizzazione guidata.

D. Cosa avviene con i familiari?

R. Sono fondamentali in questo percorso, perciò è importante valutare fin dall’inizio anche i loro bisogni. Per questo vengono invitati ad un incontro con tutta l’equipe, spesso con il medico di riferimento. L’obiettivo principale è infatti quello di lavorare proprio su un adattamento dello stato di malattia e di questa nuova condizione. Anche perché la famiglia va preparata al fatto che dopo un periodo di normale stabilizzazione, prima o poi i sintomi della malattia vengono fuori.

D. In che modo si riesce a creare un clima familiare?

R. A differenza delle strutture ospedaliere dove tutto è più caotico, qui si creano delle relazioni significative ed intense, sia con i pazienti che con i familiari, perché c’è l’opportunità di vivere una quotidianità in maniera complice ed intima. Una quotidianità che ha luogo in qualsiasi parte della struttura, non solo nella stanza del paziente, e che viene vissuta con chiunque si entri in contatto, dal medico all’infermiere. Si gioca molto di sguardi e viene ricreata una certa confidenza. Naturalmente questo avviene anche nella assistenza a domicilio. E’ importante che il paziente con i familiari, grazie ad una presenza continua, anche di personale giovane ed uno scambio effettivo di emozioni, vedano che aldilà della sofferenza, esiste pure un vivere complice e condiviso, che sia da supporto per questo percorso.


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